Gli anelli della vita


Solo il fatto di ricordare mi disturba. Penso comunque che faccia parte integrante della natura umana e della fase di crescita di ognuno di noi attraversare periodi sbagliati che, nella maggior parte dei casi, verranno ricordati come tali. Credo anche che i maschietti vivano fasi di crescita dove, più o meno volontariamente, il dover dimostrare di essere “uomini” li costringe ad adeguarsi a comportamenti sbagliati. Ho valutato seriamente se valeva la pena riportare nel dettaglio queste azioni e, in prima battuta, avevo deciso di evitare. Poi ho pensato che non posso fare finta che tutto questo non sia avvenuto e che non sarebbe giusto voler oscurare volutamente una serie di comportamenti che, anche se non mi piacciono, fanno comunque parte di me. Le lucertole sono state oggetto di azioni raccapriccianti. Si trovavano ovunque. Ognuno di noi ne prendeva una che veniva poi legata, con filo da cucire, sui binari della ferrovia per Firenze. Il “divertimento” era constatare cosa ne era rimasto dopo il passaggio di un treno. Non dimenticherò mai quella volta che sul binario, in mezzo ai pochi resti, era ancora pulsante un piccolo cuore. La vasca di Piazza San Martino era un altro luogo di tortura. Con la solita lucertola a testa ci recavamo tutti intorno ai suoi bordi e, uno alla volta, lasciavamo libere in acqua quelle bestioline che, spaventate, iniziavano a nuotare nell’unica direzione dove intravedevano la salvezza e cioè quella piccola isoletta che si trova al centro. L’attacco dei pesci non si faceva attendere molto. A volte le dimensioni della lucertola erano superiori a quelle dei pesci e allora la battaglia era molto più “interessante”. Comunque le lucertole non hanno mai vinto. La zona delle Mura che è compresa nel percorso che scendendo dal baluardo della Rosa porta all’esterno verso la stazione ferroviaria, era un altro campo di battaglia. Con le “filombre“ e organizzandoci in squadre passavamo il tempo sfidandoci a chi ne avrebbe uccise di più. La squadra perdente non raccoglieva mai meno di una cinquantina di trofei. Quando arrivava la primavera, il pratino era continuamente sorvolato da una miriade di rondini affamate che divoravano tutto quello che passava nel cielo. Erano molte più di oggi, molto più grandi, rumorose e volavano sempre basso. Noi prendevamo solo le lucertole più piccole e, con tutta la forza, le lanciavamo nell’aria. Quelle poche volte che non venivano prese al volo dai rondoni ritornavano a terra cadendo sull’erba folta del pratino e questa, a volte, poteva essere l’unica loro via di salvezza. Uno di noi era particolarmente crudele. Si chiamava Rossi ma il nome non lo ricordo. Lui era l’unico che riusciva ad ucciderle staccandogli la testa con le mani oppure, con una lente d’ingrandimento, tenendola la povera bestia ferma con due dita, gli convogliava i raggi del sole sulla testa bruciandogli il cervello. Basta così, non voglio ricordare altro.