Gli anelli della vita


Al bagno “Tre Stelle” eravamo sempre insieme. Edo Chelini, Alessandro Magnelli ed io. Tre piccoli birbanti scalmanati alla costante ricerca di emozioni con tre famiglie alla costante ricerca dei loro figli. Ne abbiamo combinate di cotte e di crude ma, la più anormale fu originata dalla nostra età, dai desideri che avevamo, dalla curiosità di ragazzi e da un pizzico di immoralità maniacale che, dicevano, precede lo sviluppo. Scagli la prima pietra colui che non ha mai guardato da uno dei tanti buchi presenti nelle pareti delle cabine di legno di una volta! Certo una cosa è la curiosità mantenuta nei limiti che possono essere originati da un’occasione e un’altra è studiare ed applicare un metodo infallibile che veniva messo in pratica con regolarità. Una cabina, quando sei fortunato, confina con un massimo di altre tre e un’altra dose di fortuna è richiesta affinché in almeno una di queste ci sia qualcosa di veramente interessante da osservare. Quelle sopra i trenta anni, per noi, erano troppo vecchie e sfatte e quindi le possibilità visive erano ridotte sempre all’osso. Si perdeva tempo per niente. Gli stabilimenti balneari, con la sola esclusione delle fondamenta, erano tutti costruiti con il legno e notammo che il pavimento, sollevato da terra, era composto da assi attaccate una all’altra ma… non combaciavano! Si fosse potuti entrare li sotto avremmo avuto un campo di azione illimitato. Per non generare troppa curiosità nei genitori cominciammo a frequentare la zona vicino alle cabine dove, generalmente, stavano tutti i ragazzi che amavano giocare a pallone. A noi, ovviamente, il pallone non interessava ma, mentre due si sacrificavano giocando, il terzo, con gli attrezzi giusti, iniziò silenziosamente a rimuovere le assi del pavimento di una delle nostre cabine. Ci davamo spesso il cambio e il lavoro più difficile fu quello di trovare un modo affinché le due assi “mobili” apparissero esattamente come quelle fisse. A lavoro ultimato fu sufficiente restare nella zona lato mare dello stabilimento allo scopo di tenere sotto attento controllo i due lati della costruzione. Appena qualcosa di veramente interessante arrivava davanti ai pannelli dove erano appese tutte le chiavi delle cabine, noi ci mettevamo in azione. Uno alla volta, sempre per non dare troppo nell’occhio, entravamo nella nostra cabina “truccata” infilandoci nei sotterranei. Era uno sciocchezza strisciare poi come “marines” fino a sotto l’obiettivo. Qualcosa andò storto. Un errore di valutazione, di disattenzione o semplicemente il caso ma, improvvisamente, ci accorgemmo che qualcuno ci stava osservando con attenzione. Si chiamava Romualdo ed era il bagnino. Un omone grande e grosso che incuteva timore solo a guardarlo. Quel giorno entrammo in azione solo un paio di volte ma, il giorno seguente, le assi erano tornate ad essere fisse. Lui aveva capito tutto! La comprensione che deriva dal ricordo di quando sei stato anche te un ragazzino deve essere stata la motivazione per la quale Romualdo mantenne molto circoscritta questa verità. Parlò solo con i nostri padri che, a loro volta, non reagirono troppo violentemente. Venimmo puniti per una cosa che “la sapeva Romualdo” e, fino al termine della vacanza, prima di andare a casa, la sera eravamo costretti a pulire dai rifiuti tutta la spiaggia.

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La banda del buco al completo