La "mia" Elena


Roberto aveva fatto alcune modifiche alle sovrastrutture di "Elena" e desiderava provarle in mare in presenza di onde ben formate. Era il terzo giorno di libeccio e quindi il mare, pur in miglioramento, era discretamente mosso. Quando mi chiese se avevo due o tre ore per "uscire" insieme accettai subito. Lasciammo la banchina verso mezzogiorno e alcuni viareggini ci chiesero dove saremmo voluti andare con "quel mare lì". "Usciamo a provare e rientriamo subito..." La risposta non li tranquillizzò e le loro espressioni non tranquillizzarono me. Il mare agitato visto dalla cima del molo non fa il solito effetto quando visto da una barca che si trova a cinquanta metri dall'uscita del porto e la prua punta dentro quelle onde che frangono. Dopo dieci minuti e una ventina di frangenti eravamo "nella sicurezza del mare aperto". Alle nostre spalle si vedevano lunghe scie bianche e tutti gli alti spruzzi che vengono lanciati in alto dalle onde che si buttano sugli scogli. Roberto, dopo un'oretta di bordi, decise che si sarebbe potuti rientrare ma, arrivati vicino l'imboccatura del porto, dovemmo costatare che sarebbe stato veramente troppo rischioso affrontare, anche se per al massimo un paio di minuti, quelle onde con la barca al traverso. Non fu fatto neanche un tentativo e venne presa l'unica decisione possibile. "Facciamo rotta su Portovenere, con questo vento e questo mare non avremo problemi e arriveremo in un tempo record". Lo skipper aveva ragione. Tra grosse onde, filavamo di lasco come un motoscafo. Quando mancava solo un'oretta a svicolare dietro l'isola del Tino dove avremmo trovato un mare sicuramente calmo, in cinque minuti cambiò tutta la scenografia. Il vento girò a nord-ovest e si posizionò sul muso della barca costringendoci ad ammainare tutte le vele e andare a motore. Il mare divenne incrociato e le onde, senza essere particolarmente grosse, venivano adesso da tutte le parti. Con una tale situazione la barca iniziò a rollare e beccheggiare in maniera atroce. Dopo qualche minuto di (chiamiamola) navigazione in quelle condizioni, Roberto si accorse che uno dei tanti bulloni della barra del timone si era un pò allentato. Scesi subito a prendere la chiave necessaria ma, appena mi chinai per aprire il terzo cassetto sotto il tavolo di carteggio, improvvisamente fui colpito da un violento malore. Era la prima volta che mi accadeva e, se non si trattava di un infarto o cose del genere, non poteva essere altro che mal di mare. Restai fuori seduto, immobile, senza riuscire a fare niente e senza parlare se non per mormorare "..sto malissimo...". E' qualcosa di difficilmente spiegabile ma, chi l'ha provato anche solo una volta, se lo ricorderà per sempre. Appena la barca girò dietro l'isola del Tino il mare si appiattì e il malessere sparì. Quando attraccammo nel piccolo porto di Portovenere stavo benissimo quasi come se "quella cosa" fosse successa a qualcun altro. Il guaio fu che Roberto avvertì sua moglie che non saremmo rientrati e che eravamo a Portovenere. Raccontò anche quanto mi era accaduto e lei, certa di farmi piacere, organizzò la mia sostituzione per il viaggio di ritorno. La sera arrivò il comune amico Luigi Michelini, cenammo da Iseo e, a fine serata mi fu detto che la mattina seguente, mentre loro due avrebbero riportato la barca a Viareggio, io avrei dovuto riportare la Mercedes a casa. Cosa avrei dovuto dire? Fecero tutto pensando di farmi un piacere, di togliermi dai guai e... invece io non vedevo l'ora di affrontare il ritorno. La Mercedes è una bella macchina ma io preferivo Elena. Comunque tutto è bene ciò che finisce bene. Da quel giorno, ringraziando il Signore, non ho più provato il mal di mare e mi auguro di non provarlo mai più.