Gli anelli della vita


Ridente cittadina sulle colline della bassa Garfagnana – questa potrebbe essere la classica breve descrizione leggibile su una qualsiasi guida delle innumerevoli località di villeggiatura. Per me, al contrario, il nome di questo posto mi fa immediatamente pensare agli Stati Uniti d’America. Questo abbinamento Italia USA dipende dal fatto che in quella zona, per tre o quattro anni e sempre nel mese di luglio, ho avuto i primi rapporti con ragazze straniere. Le americane erano diverse. Si vedeva che erano americane. Libere, aperte, dollari in tasca, poco convenzionali e “dirette”. Questa, in sintesi, era la loro carta di identità. Spaventavano un po’ tutti anche perché, non parlando troppo bene l’italiano, non era facile stabilire un contatto continuativo. Ma io sapevo l’inglese e, insieme a pochi altri, avevo un vantaggio non indifferente sul resto del gruppo che, come cani affamati, aspettavano sempre il momento di azzannare. L’unica cosa che non ho mai condiviso con quelle lì, erano le mutande lunghe, strette e letteralmente inamovibili che, a loro dire, risultavano le più usate dalla gioventù femminile americana di allora. Per quanto potei constatare, anche parlando con altri, sembravano indossare tutte lo stesso tipo, della stessa marca e colore. Solo la misura poteva essere diversa. Che fantasia, e che fregatura! E’ stato uno dei periodi più simpatici e più belli della mia vita ma, insieme al divertimento che riempiva le giornate, dalle nove di ogni mattina alla mezzanotte di ogni sera, il ricordo che mi “perseguita” più di ogni altro è certamente legato alla serie di figure a bischero che ho fatto e che sono state assolutamente imperdonabili oltre che indimenticabili.

Esempio numero uno.
Il primo anno andavo con Lilli, una biondina (ahi, ahi!) originaria di El Paso (Texas). La penultima sera prima della sua partenza, si decise che la mattina dopo saremo stati finalmente da soli per tutti i necessari “saluti” che il distacco imponeva. Stabilimmo anche che saremmo andati giù al ruscello dove, tra la boscaglia, c’erano prati verdissimi, comodissimi e morbidissimi. Siccome doveva partire verso mezzogiorno l’appuntamento fu fissato alle otto di mattina, dell’ultima mattina possibile. Quella sera, al solo pensiero di quanto sarebbe potuto accedere l’indomani, non avevo sonno e quindi restai alzato con gli amici fino a tardi. Troppo tardi. La sveglia non suonò oppure non la sentii (da giovani può succedere). Mi svegliai a mezzogiorno esatto. Seppi poi da Angelino che una biondina aveva stazionato per ore sotto la mia finestra e se ne era andata via con una faccia molto dispiaciuta.

Esempio numero due.

Esempio numero due.
Maruska, Denver, Colorado. Una furia. Riusciva a stare anche meno ferma di me. Un giorno le dissi:
“Stasera ho la macchina. Andiamo al Ciocco?”
“What?”
“Si, è un locale qua vicino che hanno aperto da poco e dicono essere bellissimo.”
“OK, at nine o’clock.”
“Ti aspetto al parcheggio della piazza.”
Era fatta. Quella sera la mia seicento era l’unica macchina ferma nelle poche strisce bianche ed io, con le chiavi in mano e appoggiato alla Fiat, stavo guardando la strada in discesa dalla quale, da lì a poco, sarebbe scesa Maruska. Alle nove esatte vidi arrivare una cosa nera, grande e bellissima. Una Chevrolet cabrio che, lentamente e sotto gli occhi un po’ meravigliati del paese, traversa tutta la piazza e, silenziosamente, viene a fermarsi a mezzo metro da me e dal mio macinino.
“Come here, my car is more comfortable”
“……….”
“Sorry Enzo… can you hear me?”
Lei aprì lo sportello, fece il giro dell’automobile e rientrò dal lato opposto pronunciando solo la parola “Drive”. Quando io aprii lo sportello lato guida, il volante si spostò verso sinistra appiattendosi sul cruscotto. Serviva a facilitare l’accesso. Dentro era tutta in pelle rossa, aveva la radio, il mangia dischi (45 giri), lo sterzo leggerissimo, l’aria condizionata e un cambio strano al volante. La frizione non era contemplata. Sentivo parecchi occhi addosso. Misi in moto un motore già acceso e riuscii a partire. Alla prima curva poggiai il piede sulla frizione e presi in pieno quello del freno che era enorme. Per non sbagliare più dovetti guidare tutta la sera con la gamba sinistra sempre ripiegata sotto il sedile. Quando, dopo pochi chilometri arrivammo al Ciocco, non vedevo l’ora di leggere la mezzanotte sull’orologio. Avrei guidato ancora quella Chevy. Fino a quando Maruska non se ne andò da Barga, al posto di guida della cabrio ci fui sempre e solo io. Immaginatevi il dover poi risalire sulla seicento.

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