Kinè - In tutta Italia si chiama "Lippa" ma noi lo chiamavamo così. Serviva un pezzo di carbone con il quale, nel lato della piazza opposto alla chiesa, veniva disegnato in terra un cerchio di circa due o tre metri di diametro. Si prendeva poi un manico di granata e si divideva in due parti: una piccola una ventina di centimetri e l’altra lunga circa mezzo metro. Il pezzetto più piccolo veniva smussato alle due estremità e da quel momento prendeva il nome di “kinè”. Venivano formate due squadre e, generalmente, i più piccoli come me, erano ripartiti equamente per non avvantaggiare troppo la squadra che ne avesse avuti meno. Prima di iniziare veniva deciso se il gioco si sarebbe svolto con “voga” o senza “voga”, cosa che spiego più avanti. Per giocare tranquillamente dovevamo avere tutta la piazza libera. Non era certo un problema di automobili ma di carretti vari tutti di proprietà di abitanti del posto. Il gioco era conosciutissimo in tutto il rione e quindi non era difficile rintracciare i proprietari degli “ostacoli” che, per quello che mi ricordo, non avevano alcuna difficoltà ad accontentarci. Alternativamente, una squadra giocava all’attacco e l’altra in difesa. Chi attaccava aveva diritto alla battuta e quindi, uno alla volta, con il bastone più lungo in mano, si entrava nel cerchio disegnato con il carbone e si posizionava il “kinè” all’incirca nel centro. Ognuno di noi aveva solo tre tentativi per battere sulla parte smussata in modo che il pezzetto di legno si alzasse da terra quel tanto che bastava a colpirlo nuovamente, e con tutta la forza, per spedirlo, come un proiettile, il più lontano possibile verso la squadra schierata in difesa. A volte il proiettile partiva verso l’alto ma, molto più spesso, veniva lanciato violentemente ad altezza d’uomo. Nessuno di noi ha mai ravvisato pericolosità fisica in quel gioco e il caso, condito da una buona dose di fortuna, ha voluto che in tante occasioni “il problema” (leggi la testa) fosse evitato solo per pochi centimetri. Compito della squadra in difesa era quello di prendere “al volo” l’oggetto roteante prima che toccasse terra e, in questo caso, il battitore veniva eliminato e alla squadra in difesa veniva assegnato un punto. Al contrario se il “kinè” toccava terra senza essere preso al volo, il punto veniva assegnato alla squadra all’attacco. Se era stato deciso che il gioco aveva anche la “voga” significava che, nel caso il pezzo di legno fosse caduto a terra senza essere preso al volo, il giocatore più vicino al punto di caduta, cioè quello che avrebbe logicamente potuto prendere il pezzo, era colpevole e quindi andava punito. Il battitore si recava sul punto dove era caduto il “kinè” e il difensore colpevole lo doveva caricare sulle proprie spalle e riportarlo, sotto derisione degli altri, fino al cerchio di battuta. Al contrario, se veniva preso al volo, il colpevole era il battitore che doveva fare la stessa fine. Ecco perché, quando battevo io, non tiravo a caso ma cercavo disperatamente di mandare il “kinè” verso quelli piccoli come me. Fossi stato perdente non avrei dovuto caricarmi sulle spalle un ragazzone di otto o nove anni che, come se non bastasse, mi avrebbe preso anche per il culo!
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