Gli anelli della vita | Precedente |
Annoiarsi era impossibile. Nonostante non avessimo quasi niente eravamo comunque sempre impegnati a fare qualcosa. Ovviamente i giochi elencati sono quelli che, a differenza di altri, ricordo con particolare nitidezza così come ricordo che il gioco del calcio, mancante in questo elenco, era abbastanza praticato ma, incredibilmente, non era da tutti noi ritenuto il più divertente. L'ordine di esposizione segue l'età e quindi si va dai miei 5 anni fino ad arrivare ai 15, se non qualcosina in più... |
Palline - La piazza era stata asfaltata da poco e noi avevamo provveduto a fare un po' di buche quà e là. Ognuna di esse era larga un paio di centimetri e profonda altrettanto. Praticamente questo giochino era in tutto e per tutto paragonabile ad una attuale gara di golf con l'unica differenza che si usavano le mani al posto delle mazze. Ogni giocatore contribuiva al montepremi finale mettendo in un sacchetto una bilia e, alla fine della gara, il vincitore avrebbe ritirato il "malloppo" tornandosene a casa con le tasche piene. Ovviamente le discussioni erano all'ordine del giorno sia quando una bilia urtava un'altra, magari allontanandola dalla buca finale oppure, molto più spesso, quando qualcuno, più o meno volutamente, sbagliava i calcoli sul proprio punteggio sostenendo di avere un totale di tiri inferiore a quanto risultasse agli altri. Fortunatamente le bilie erano sempre una diversa dall'altra e quindi non si verificavano quasi mai discussioni sulla proprietà di questa o quella "pallina" però, purtroppo nessuno segnava i tiri effettuati, si andava a memoria e quindi quando i contendenti erano una quindicina, ricordarsi tutto di tutti era una impresa abbastanza difficile. In funzione del numero di giocatori veniva decisa la lunghezza del percorso, cioè il numero di giri. Le buchette erano una decina e quindi un solo giro se eravamo in tanti oppure più giri se i giocatori erano pochi. |
Tappini - Da poco erano arrivate in commercio alcune bibite con una chiusura particolare. Un tappino metallico che poteva essere tolto solo con uno "stappino" particolare. Noi ci procuravamo questi piccoli oggetti nei bar della zona e poi, ognuno in maniera diversa, provvedeva a personalizzarlo affinchè non si potessero confondere gli uni con gli altri. Ricordo che io ci mettevo un cartoncino rotondo con impresso a penna la lettera "E", iniziale del mio nome, scritta come adesso è il simbolo dell'Euro con l'unica differenza che aveva una solo trattino orizzontale al posto dei due che identificano questa moneta. Per iniziare il gioco era sufficiente procurarci un pezzo di carbone (e i carbonai della zona ne avevano abbastanza), trovare uno spiazzo neanche troppo grande, disegnarci una pista più o meno tortuosa ed iniziare la gara. |
Kinè - In tutta Italia si chiama "Lippa" ma noi lo chiamavamo così. Serviva un pezzo di carbone con il quale, nel lato della piazza opposto alla chiesa, veniva disegnato in terra un cerchio di circa due o tre metri di diametro. Si prendeva poi un manico di granata e si divideva in due parti: una piccola una ventina di centimetri e l’altra lunga circa mezzo metro. Il pezzetto più piccolo veniva smussato alle due estremità e da quel momento prendeva il nome di “kinè”. Venivano formate due squadre e, generalmente, i più piccoli come me, erano ripartiti equamente per non avvantaggiare troppo la squadra che ne avesse avuti meno. Prima di iniziare veniva deciso se il gioco si sarebbe svolto con “voga” o senza “voga”, cosa che spiego più avanti. Per giocare tranquillamente dovevamo avere tutta la piazza libera. Non era certo un problema di automobili ma di carretti vari tutti di proprietà di abitanti del posto. Il gioco era conosciutissimo in tutto il rione e quindi non era difficile rintracciare i proprietari degli “ostacoli” che, per quello che mi ricordo, non avevano alcuna difficoltà ad accontentarci. Alternativamente, una squadra giocava all’attacco e l’altra in difesa. Chi attaccava aveva diritto alla battuta e quindi, uno alla volta, con il bastone più lungo in mano, si entrava nel cerchio disegnato con il carbone e si posizionava il “kinè” all’incirca nel centro. Ognuno di noi aveva solo tre tentativi per battere sulla parte smussata in modo che il pezzetto di legno si alzasse da terra quel tanto che bastava a colpirlo nuovamente, e con tutta la forza, per spedirlo, come un proiettile, il più lontano possibile verso la squadra schierata in difesa. A volte il proiettile partiva verso l’alto ma, molto più spesso, veniva lanciato violentemente ad altezza d’uomo. Nessuno di noi ha mai ravvisato pericolosità fisica in quel gioco e il caso, condito da una buona dose di fortuna, ha voluto che in tante occasioni “il problema” (leggi la testa) fosse evitato solo per pochi centimetri. Compito della squadra in difesa era quello di prendere “al volo” l’oggetto roteante prima che toccasse terra e, in questo caso, il battitore veniva eliminato e alla squadra in difesa veniva assegnato un punto. Al contrario se il “kinè” toccava terra senza essere preso al volo, il punto veniva assegnato alla squadra all’attacco. Se era stato deciso che il gioco aveva anche la “voga” significava che, nel caso il pezzo di legno fosse caduto a terra senza essere preso al volo, il giocatore più vicino al punto di caduta, cioè quello che avrebbe logicamente potuto prendere il pezzo, era colpevole e quindi andava punito. Il battitore si recava sul punto dove era caduto il “kinè” e il difensore colpevole lo doveva caricare sulle proprie spalle e riportarlo, sotto derisione degli altri, fino al cerchio di battuta. Al contrario, se veniva preso al volo, il colpevole era il battitore che doveva fare la stessa fine. Ecco perché, quando battevo io, non tiravo a caso ma cercavo disperatamente di mandare il “kinè” verso quelli piccoli come me. Fossi stato perdente non avrei dovuto caricarmi sulle spalle un ragazzone di otto o nove anni che, come se non bastasse, mi avrebbe preso anche per il culo! |
La caccia - Facilissimo da costruire. Un pezzo di legno più o meno lungo e una molletta di quei tempi che non erano come le attuali, fatte con plastica, ma di legno molto resistente. La molletta, che diventava il grilletto della pistola o del fucile, veniva smontata e poi rimontata dopo averne inchiodata una parte sulla "canna". Le pallottole, cioè i gommini, si trovavano ovunque. In quegli anni la vita di tutti i piccoli insetti volanti fu messa in pericolo da un branco di ragazzini armati che, con l'esperienza e la tecnica, facevano vere e proprie stragi di innocenti. |
??? - Non ricordo come chiamavamo questo giochetto. Formavamo due squadre facendo particolare attenzione a suddividere equamente i "pesi" dei partecipanti. Chi stava sotto doveva sopportare il peso di tutta l'altra squadra che gli arrivava sulla schiena uno alla volta dopo aver preso una giusta rincorsa. Ovviamente il primo saltatore, per lasciare posto sufficiente agli altri, doveva cercare di andare il più avanti possibile e quindi era anche colui che, nella squadra, era considerato il più atletico. Certo che, dopo lunga rincorsa e un volo di qualche metro, quando atterrava su una schiena non era certamente un sollievo per chi lo prendeva. Quando era riuscito a salire l'ultimo si contava fino a dieci e se quelli sotto, non riuscendo a sopportare il peso di tutti quelli saliti, rompevano la fila, il gioco ricominciava da capo. Quando invece riuscivano a restare immobili venivano cambiati i ruoli. Chi aveva saltato andava sotto e gli altri ti saltavano addosso. |
La filombra - Penso che il nome giusto sia "fionda" ma noi dicevamo così. Ci dedicammo a quest'arma quando decidemmo di smettere di cacciare piccoli animali e cercare di abbattere qualcosa di più grande. Le lucertole, i rammari e i geki furono i nostri nuovi obiettivi. Costruirla non era molto semplice. Andava trovato un ramo dal quale "estrarre" la "Y" e poi si doveva cercare una gomma elastica sufficientemente resistente. Per quest'ultima venne rapidamente di moda andare dai biciclettai e farsi regalare una camera d'aria rotta dalla quale, con un paio di forbici, veniva ricavata la parte "lanciante". Alcuni facevano lavori splendidi e molto simili a quella filombra riportata nella foto mentre la maggioranza si accontentava di un prodotto finale, esteticamente meno bello, ma perfettamente funzionante. Il giochino degenerò quando alcuni di noi cominciarono a prendere di mira (e centrare) le lampadine dei pochi lampioni presenti. Venimmo tutti sottoposti ad una lavata di capo indimenticabile. |
I carrettini - Bellissimi, velocissimi e decisamente pericolosi. Costruirli era alla portata di tutti. Pochi pezzi di legno, alcune viti, quattro cuscinetti a sfera e una corda da usare come le briglie di un cavallo. Il casco presente nella foto era un'utopia, semplicemente non esisteva. Con il proprio "carrettino" andavamo alla discesa dalle mura a destra della "Casa del Boia" e la pista iniziava il cima alla salita per poi girare a gomito a sinistra, in direzione Porta Elisa, dove dopo una decina di metri era posizionato il traguardo. La gara si svolgeva in più manches ed ad ognuna partecipavano due carrettini. Chi perdeva veniva eliminato e si andava avanti fino alla finalissima. La partenza avveniva sempre a spinta e quindi era oggetto di frequenti contestazioni sulla potenza della spinta ricevuta. Altra particolarità era il sorteggio della posizione di partenza, interna od esterna, che venifa effettuata con la scelta tra due fili di erba e chi prendeva il più lungo sceglieva. Purtroppo, con i passare del tempo e la sempre più forte volontà di vittoria, gli incidenti di gara divennero sempre più frequenti. Una volta anch'io persi il controllo nell'unica curva del percorso e il mio carrettino andò ad urtare violentemente il marciapiede. Fui sbalzato fuori andando ad urtare con la schiena il muro della vicina casa. Forse avremmo anche continuato ma tutto cessò quando venimmo sorpresi dall'arrivo di due Vigili Urbani che, caricando tutto su un camioncino, ci sequestrarono i nostri bolidi intimandoci di non fare più niente di simile. |
Rimpiattino - Detto anche nascondino e, a differenza della foto, facevamo questo giochino ad un'età superiore ai 14 anni. Avevo da poco conosciuto un nuovo amico che mi inserì in un giro di ragazzi e ragazze che avevano l’abitudine di passare alcune serate estive giocando a rimpiattino. La caratteristica originale del gioco era che poteva essere effettuato una sola volta per sera perché, prima che uscisse l’ultima persona nascosta, passavano un paio d’ore e quindi il tempo concesso dai genitori era scaduto e si doveva tornare a casa. La zona delle operazioni era quella di Piazza San Ponziano, via Elisa e la parte buia vicino le Mura. Francesco mi disse che più che un gioco era una occasione per appartarsi con le ragazzine e che proprio una di loro, Laura, aveva chiesto più volte la mia presenza. Il momento più importante di tutta la serata era la conta, ovvero l’artificio per identificare l’unico che non si sarebbe andato a nascondere ma che avrebbe avuto l’ingrato compito di trovare gli altri. Essere colui che doveva “contare” significava non trovare assolutamente nessuno e quindi tornarsene subito a casa perdendo ogni possibilità di divertimento. Le donne, ovviamente, erano esentate da questo ingrato compito. Francesco ed io passammo ore intere a studiare un modo per far si che, il numero uscito, non indicasse uno di noi due. Riempimmo pagine di calcoli matematici ma fu tutto inutile. Non c’era altro che la soluzione dell’imbroglio che, generalmente, funzionava così: avevamo notato che, da dove partiva il via della conta, questa sarebbe terminata esattamente sulla persona che era posizionata su: Numero da contare / persone presenti alla conta + eventuale resto Nel cerchio che veniva fatto prima della conta, ci posizionavamo accanto e riuscivamo sempre a far partire la conta da uno di noi due. Conosciuto esattamente il numero dei partecipanti, appena saputo il totale da contare, essendo tutti e due sveglini, non era difficile sapere rapidamente a chi sarebbe toccato “non giocare”. Se, malauguratamente, fosse risultato un numero ritenuto “sbagliato”, prima dell’inizio della conta, era sufficiente pretendere una verifica e, contemporaneamente uno dei due cambiava il numero precedentemente emesso dalle proprie dita con un meno due o più due. Gli altri, fortunatamente, erano tutti onesti e quindi il risultato cambiava esattamente di quanto volevamo noi. |
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