Gli anelli della vita


Viene un momento, nell’esistenza di noi maschietti, che succede qualcosa che, almeno le prime volte, ci sorprende moltissimo. Il fatto che quasi tutti si sappia in anticipo la dinamica di questo fenomeno, l’evento non diminuisce la meraviglia che proviamo nel vedere, in pochi secondi modificare la struttura ed il volume di una piccola parte del nostro giovane corpo. A me successe mentre, solo in casa, stavo facendo il bagno nella nuova vasca. Me lo avevano già detto tutti i miei amici ma, nonostante ciò, provai una sorpresa di cui sento ancora l’eco. Ma cosa mi stava succedendo? Perché era diventato così? Quando, ovviamente in Piazza San Francesco, raccontai l’evento a tutti ebbi l’amara sorpresa di sapere che agli altri era già successo ed io, essendo tra i più piccoli, ero stato l’ultimo. Dai più grandicelli, quel giorno appresi anche che, quello strano desiderio che avvolge il corpo e la mente, poteva essere soddisfatto con il semplice ausilio di una mano. Facile ed appagante! Se quel coso lì fosse stato di legno adesso farei parte di quella nutrita schiera di maschietti che, con il tempo e l’uso, lo avrebbe modellato a forma di impugnatura! La novità restò tale per parecchio tempo e, con l’enorme fantasia che era richiesta per passare le giornate, riuscimmo a trovare un gioco molto divertente e totalmente basato su questo fenomeno fisico. Il campo di gioco non poteva essere all’aperto e sotto gli occhi della gente per cui venne individuata una loggia e, più precisamente quella di Via San Nicolao al numero civico tre. A differenza delle altre aveva ambedue le caratteristiche che cercavamo. La porta di accesso era sempre accostata e nello stabile non c’era quel traffico che caratterizzava le nostre logge. Entravamo dentro e chiudevamo il portone d’ingresso. Giocavamo tutti contemporaneamente con la sola esclusione di un volontario che doveva avere le funzioni di arbitro. In fila davanti al muro interno, uno vicino all’altro, i pantaloni e le mutande andavano a finire sopra le scarpe, le braccia dovevano essere ben appoggiate alla parete e quindi il corpo restava un po’ inclinato con la testa più vicina al muro di quanto lo erano i piedi. Il segnale di “uno, due, tre, via” coincideva con la chiusura degli occhi e la discesa di un silenzio irreale. Con la sola forza del pensiero, totalmente libero e lasciato alla fantasia del singolo, ognuno di noi doveva provocarsi un erezione completa. Sarebbe stato dichiarato vincitore colui che avrebbe raggiunto per primo questa “posizione”. Mi sono sempre divertito tanto ma non ho mai vinto.