Gli anelli della vita


Il fosso che attraversa tutta la città, ai confini del rione, era un potente richiamo. Con la necessaria fantasia che fortunatamente è in dotazione a tutti coloro che, avendo pochissimo, vogliono fare tantissimo, quel canale medioevale è stato utilizzato in una tale quantità di giochi che, con molta sincerità, ho qualche difficoltà a ricordarli tutti. Il più gettonato, anche perché ci occupava tanto tempo e ci consentiva, con l’assenso dei genitori, di muoverci lungo tutto il suo percorso interno alle Mura, era la sfida dedicata alla “nautica”. Immaginate una quindicina o più ragazzetti che, dopo aver costruito una piccola imbarcazione con i materiali più svariati (carta, cartone o legno perché la plastica non era stata ancora inventata), dopo averla dotata di bandierina personale, si ritrovavano tutti insieme in fondo a via dei Borghi dove inizia il fosso. Quella con la bandierina tutta nera era la mia. Al segnale convenuto, più o meno contemporaneamente perché i furbi c’erano già allora, tutte le barchette venivano gettate nell’acqua dal primo ponticello. Il vincitore sarebbe stato colui la cui imbarcazione, dopo aver percorso tutto il fosso, avrebbe toccato per prima la grata finale accanto alla chiesina di via della Rosa. Un bel percorso! Il gioco veniva fatto solo quando l’acqua nel fosso era molto bassa perché gli ostacoli, identificati dagli innumerevoli rifiuti che venivano per lo più gettati dalle finestre, diventavano tanti e difficili da superare. Quando il livello saliva il divertimento scendeva. La regola da rispettare era solo una: l’intervento dell’armatore era possibile solo se la propria barca si fosse impigliata, arenata o comunque si trovasse in una situazione dalla quale non sarebbe potuta uscire da sola. Come si poteva intervenire? L’unica maniera per rimettere in corsa la propria barca era quella di calarsi nel fosso e spostarla, a mano, nella corrente giusta. Già questo, da certi bordi del fosso, non era una manovra facile. La zona che faceva letteralmente paura a tutti ma che andava comunque affrontata, era quel tratto di fosso che passa sotto la Madonna dello Stellare. Immaginatevi quanto coraggio doveva avere il proprietario della barchetta che entrava da una parte e non usciva più dall’altra! Fortunatamente le barchette che si arenavano in quel punto erano sempre parecchie e quindi era meno impressionante scendere lì sotto. Proprio sotto la statua della Madonna c’era una grande grata che divideva in due parti quella galleria sotterranea e quindi, non potendo sapere da quale parte era bloccata la barchetta, spesso entravamo dalla parte sbagliata. Non essere soli in mezzo a gruppetti di topi di fogna era rassicurante esattamente come rassicurante era l’imbecillità generalizzata che contraddistingueva quell’operazione. Mal comune, mezzo gaudio. L’importante era vincere ma, quando a fermarsi lì sotto era una sola imbarcazione, il proprietario riusciva ad inventare le scuse più assurde per non scendere solo. In questo caso gli altri facevano immediatamente finta di crederci perché sapevano che, prima o poi, lì sotto si sarebbe fermata, da sola, anche la loro.

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