Roberta. Il primo vero bacio. Mora, capelli mediamente lunghi e mossi, occhi neri, formosetta e più grande di me di un paio d’anni. Non conosceva l’ipocrisia, era assolutamente sincera e diretta. Diceva sempre quello che pensava e a me, quella volta, disse:
“Vuoi che diventi la tua ragazza?”.
Stavo ancora cercando di capire il significato della domanda che, come un treno, arrivò subito la seconda:
“Sai fare a baciare?”.
Mi trovai nel marasma assoluto. In due secondi mi aveva ridotto ad una larva. Non sapevo cosa dire né, tanto meno, cosa fare. Avevo pochi attimi per riprendere in mano una situazione penosa e il mio cervello cominciò a lavorare. Poter dire “ho una ragazza”, alla mia età, avrebbe significato molto ma avrebbe comportato anche dover passare tempo con lei e, non ostante tutti gli sforzi, non riuscivo ad immaginare a cosa potesse servire. Vedevo che quelli più grandi frequentavano spesso le ragazze e, quelli più fortunati riuscivano anche ad appartarsi con loro. Ma che diamine, se lo facevano gli altri lo avrei fatto anch’io. Era molto carina e quindi la risposta alla prima domanda fu affermativa. La seconda risposta non poté che essere una menzogna. Non avevo alternative, che figura avrei fatto a dire la verità. Pensai addirittura che avrei rischiato un suo ripensamento se si fosse accorta di avere a che fare con un “principiante” che non aveva mai baciato come probabilmente intendeva lei. Per il momento credevo di aver tamponato la situazione ma, quello che successe immediatamente dopo, rasentò il dramma. La scena si svolse sotto la statua del leone che si trovava a destra salendo la scesa della gelateria “la veneta”. Non ostante la vicinanza della bestia, io mi sentivo molto più simile ad un coniglio. Con grande sicurezza lei continuò:
“Andiamo in quel baluardo laggiù, stiamo un po’ insieme da soli”.
Mi prese per mano e ci avviammo. Il percorso fu tutto un interrogatorio sulle mie capacità. Mi chiese addirittura se baciavo alla francese oppure all’italiana avvisandomi che a lei, alla francese, non piaceva molto.
Continuavo a discutere su cose di cui non sapevo assolutamente niente ma, al tempo stesso, ero letteralmente disperato nel vedere che il baluardo pieno di alberi e di erba alta si avvicinava sempre più. Chissà quante cazzate dissi durante quei cento metri che mi separavano dall’esame più difficile.
“Verba volant, bacio manent”.
Questo era probabilmente il concetto principale dei pensieri angosciosi che tormentarono gli ultimi metri che mi separavano da quel posto che si chiamava “..andiamo laggiù”. Volsi più volte lo sguardo intorno per cercare di vedere se, magari, arrivava qualcuno. Niente da fare. Eravamo soli, o meglio, ero solo. Con la massima naturalezza che mi ero imposto di recitare, mi appoggiai a quel maledetto platano. Lei si avvicinò troppo, non avevo più alternative. Non ho mai saputo se Roberta si accorse che era la mia prima volta. Probabilmente lo avrà pensato solo per un attimo perché compresi il meccanismo in meno di un secondo. Non ricordo quanto tempo siamo stati lì ma, tornando indietro, le parti sembravano invertite. Fui molto soddisfatto di me ma, quello che mi riempiva di gioia era che anche lei era molto soddisfatta. E pensare che c’eravamo solo baciati o poco più. Poi finì tutto bruscamente così come era cominciato.
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