Gli anelli della vita

Negli anni 60' fotografare non era certamente una consuetudine quindi, escluse queste poche eccezioni, ho ben poche immagini di quei tempi, di quelle amicizie e di quelle ragazze. Ricordo bene nomi e cognomi di quasi tutte e con Facebook ho provato a cercarle anche se, avendo la mia stessa età, ero abbastanza poco convinto di ritrovarle con questo strumento. Sono riuscito a rintracciare solo Diana perchè ricordavo quale scuola americana frequentava ed è su quel sito che ho visto la sua immagine. Delle mancanti... purtroppo nessuna traccia.

Flag Maresa. I tempi del "pratino", quello spiazzo verde dietro il Duomo di San Martino, hanno lasciato segni indelebili. Era carina, molto carina. Un'estate, solo per incontrarla per pochi minuti, dal bagno "Tre Stelle" dove mi trovavo in vacanza con i miei, ogni giorno andavo a piedi fino al bagno Zara a Lido di Camaiore per poi rientrare precipitosamente rispettando il tempo imposto da mio padre. Ho ancora presente nella mente un divertente ricordo della nostra "storia". Avvenne durante una classica "festina" che lei aveva organizzato in casa sua, in via della Polveriera. Come al solito, più o meno improvvisamente, con le finestre rigorosamente chiuse, su un sottofondo musicale appropriato si spensero le luci e l'ambiente piombò nel buio. Lei era davanti a me in un angolo del soggiorno ed io, con tutto il coraggio possibile, mi avvicinai e cercai di baciarla. Non essendomi reso conto che lei si trovava sopra un piccolo scalino, invece di trovare la bocca, le mie labbra si posarono sul suo collo. Lei non disse una sola parola mentre io, da uomo qual'ero, mi ritrassi immediatamente e le chiesi scusa! Roba da matti!

Flag Roberta. Il primo vero bacio. Mora, capelli mediamente lunghi e mossi, occhi neri, formosetta e più grande di me di un paio d’anni. Non conosceva l’ipocrisia, era assolutamente sincera e diretta. Diceva sempre quello che pensava e a me, quella volta, disse:
“Vuoi che diventi la tua ragazza?”.
Stavo ancora cercando di capire il significato della domanda che, come un treno, arrivò subito la seconda:
“Sai fare a baciare?”.
Mi trovai nel marasma assoluto. In due secondi mi aveva ridotto ad una larva. Non sapevo cosa dire né, tanto meno, cosa fare. Avevo pochi attimi per riprendere in mano una situazione penosa e il mio cervello cominciò a lavorare. Poter dire “ho una ragazza”, alla mia età, avrebbe significato molto ma avrebbe comportato anche dover passare tempo con lei e, non ostante tutti gli sforzi, non riuscivo ad immaginare a cosa potesse servire. Vedevo che quelli più grandi frequentavano spesso le ragazze e, quelli più fortunati riuscivano anche ad appartarsi con loro. Ma che diamine, se lo facevano gli altri lo avrei fatto anch’io. Era molto carina e quindi la risposta alla prima domanda fu affermativa. La seconda risposta non poté che essere una menzogna. Non avevo alternative, che figura avrei fatto a dire la verità. Pensai addirittura che avrei rischiato un suo ripensamento se si fosse accorta di avere a che fare con un “principiante” che non aveva mai baciato come probabilmente intendeva lei. Per il momento credevo di aver tamponato la situazione ma, quello che successe immediatamente dopo, rasentò il dramma. La scena si svolse sotto la statua del leone che si trovava a destra salendo la scesa della gelateria “la veneta”. Non ostante la vicinanza della bestia, io mi sentivo molto più simile ad un coniglio. Con grande sicurezza lei continuò:
“Andiamo in quel baluardo laggiù, stiamo un po’ insieme da soli”.
Mi prese per mano e ci avviammo. Il percorso fu tutto un interrogatorio sulle mie capacità. Mi chiese addirittura se baciavo alla francese oppure all’italiana avvisandomi che a lei, alla francese, non piaceva molto. Continuavo a discutere su cose di cui non sapevo assolutamente niente ma, al tempo stesso, ero letteralmente disperato nel vedere che il baluardo pieno di alberi e di erba alta si avvicinava sempre più. Chissà quante cazzate dissi durante quei cento metri che mi separavano dall’esame più difficile. “Verba volant, bacio manent”. Questo era probabilmente il concetto principale dei pensieri angosciosi che tormentarono gli ultimi metri che mi separavano da quel posto che si chiamava “..andiamo laggiù”. Volsi più volte lo sguardo intorno per cercare di vedere se, magari, arrivava qualcuno. Niente da fare. Eravamo soli, o meglio, ero solo. Con la massima naturalezza che mi ero imposto di recitare, mi appoggiai a quel maledetto platano. Lei si avvicinò troppo, non avevo più alternative. Non ho mai saputo se Roberta si accorse che era la mia prima volta. Probabilmente lo avrà pensato solo per un attimo perché compresi il meccanismo in meno di un secondo. Non ricordo quanto tempo siamo stati lì ma, tornando indietro, le parti sembravano invertite. Fui molto soddisfatto di me ma, quello che mi riempiva di gioia era che anche lei era molto soddisfatta. E pensare che c’eravamo solo baciati o poco più. Poi finì tutto bruscamente così come era cominciato.

Flag Diana. Ero l’unico a chiamarla così come si legge in italiano e non Daiana come avrebbe voluto lei. Era originaria di Olyoke nel Massachusset, una città che era talmente piccola da non essere riportata sulle carte del tempo. Sapevo solo, perché lo diceva lei, che era poche miglia a ovest di Boston. A Barga soggiornava in una splendida villa di proprietà dei nonni paterni, i signori Colognori. Ricordo che un giorno mi fece vedere una foto nella quale si trovava, insieme ad altri ragazzi e ragazze, seduta sui bordi di una splendida piscina. Fu normale per me dire:
“Però…, anche se abitate in una piccola città, siete forti. Avete addirittura una piscina per i giovani. A Lucca non c’è.”
“Guarda che questa piscina è la nostra personale”
Le dovevo piacere molto e quanto successe qualche giorno prima della sua partenza, lo dimostrò inequivocabilmente. Con un giro di parole, ma comunque molto chiaramente, mi chiese se mi sarebbe piaciuto andare ad abitare nel Massachusset. Avrei potuto terminare i miei studi ad Olyoke e poi... Mi sembra di ricordare anche che questa offerta fu fatta solo un paio di giorni prima della sua partenza e quindi mi trovai di fronte una decisione troppo grande per la mia età. In realtà non avevo niente da decidere. Il problema non esisteva e non era mai esistito. In considerazione del fatto che Diana è sicuramente stata la migliore ragazza che avessi mai conosciuto, se la solita domanda me la avesse fatta qualche anno più tardi....

Flag Roberta. Aveva lo stesso nome di quella del primo bacio. Questa volta però ero molto più maturo e consapevole e immaginai addirittura che, con un tipo così, mi sarei potuto anche sposare! Quel suo modo di essere e di fare mi aveva fatto veramente innamorare come non mi era mai successo prima. Longilinea, occhi piccoli e mai fermi, capelli castani di media lunghezza e molto mossi, decisa e imprevedibile. Pensavo proprio di aver trovato quella giusta. Prima di stare con me aveva un ragazzo di nome Franco che, anche se era due o tre anni più grande di me, rispetto a lui sapevo di essere migliore in tutto. Dopo qualche mese di “fidanzamento”, un giorno, ci eravamo dati appuntamento davanti all’Upim. Fu puntualissima, ma arrivò abbracciata a Franco. Mi passarono davanti facendo finta di non vedermi. Rimasi impietrito. Non era la prima volta che venivo lasciato da una ragazza ma, a differenza delle altre esperienze, questa situazione, per me, fu una botta pesantissima. Mi sentii malissimo e piansi. Non riuscivo a capire. Perché si era comportata così? Perché non mi aveva parlato? Perché umiliarmi? Non riuscii a saperlo non ostante i ripetuti tentativi di conoscere i perché di questa sua decisione. Non ci fu il verso di parlargli e, praticamente, non ci vedemmo più. Una ventina di anni dopo, entrando al Gymnic Club per andare a riprendere mia figlia, la vidi pochi metri davanti a me. Era sola. Senza pensarci un attimo mi avvicinai e quando arrivai a venti centimetri dalla sua faccia pronunciai la parola che aspettavo di potergli dire da sempre:
“Perché?”
Come quei venti anni non fossero mai esistiti, iniziò una spiegazione confusa. Era agitata. Mi sembrò di capire che era stata una scelta sollecitata dalla sua famiglia che non vedeva in me quello che invece era convinta fosse nell’altro: la serietà, l’affidabilità e un futuro. Dopo pochi minuti me ne andai con la certezza che si fosse pentita di essersi fatta convincere.

Flag Elvira. I miei cugini si erano trasferiti a Caserta. Chiesi e ottenni di andare a trovarli in treno da solo. La vera intenzione era quella di fermarmi un po’ a Roma per incontrarmi con Elvira. L’avevo conosciuta perché era la nipote della proprietaria del negozio di lavanderia sotto casa mia. Per lettera avevo comunicato giorno ed ora di arrivo alla stazione Termini e lei l’aveva certamente letta. Non venne, e nella telefonata che feci a casa sua per sapere qualcosa, da sua madre ottenni solo un laconico “Non so dov’è…”. Ho sempre pensato che tra i due, chi ci ha rimesso, fu lei! Ricordo che un giorno mentre passeggiavamo abbracciati sulle mura di Lucca, nel tratto che va dal Villaggio del Fanciullo verso Piazza Santa Maria, le indicai che in una delle case che si vedevano alla nostra sinistra abitava mia cugina la quale era molto amica della ragazza con la quale mi ero da poco messo insieme ma che ad Elvira avevo assicurato che ci eravamo lasciati (si, lo so, tenevo il piede in due scarpe...). Quelle case sono il retro di quelle presenti sul lato sinistra di Via dei Borghi e, senza potermene accorgere, proprio in quel momento Franca era alla finestra e non ebbe alcuna difficoltà a riconoscermi. Risultato: Caterina venne avvertita immediatamente e mi scaricò...