Gli anelli della vita


Quella cosina marrone si mosse. Una breve corsa fu sufficiente per rendermi conto di cosa fosse. Ero sul Baluardo che chiamavamo “Mazzini”. A volte, in quelle primaverili mattine delle domenica senza tempo, mi accompagnava lì mio nonno. Fui soddisfatto. Arrivai davanti a lui solo con qualche metro di vantaggio su uno degli innumerevoli gatti che giravano nella zona. L’arte di arrangiarsi non è una prerogativa solo umana. Senza rendersi conto del vero pericolo che era nelle immediate vicinanze, quel passerotto nell’erba, spaventato dalla mia relativa imponenza, pigolava disperatamente nella speranza di richiamare una madre che non avrebbe potuto proteggerlo. Un’occhiata al gatto fu sufficiente per farlo recedere dalle sue naturali intenzioni e, un attimo dopo, tenevo tra le mie mani congiunte quella piccola creatura. Non mi era mai successo prima. Oltre ad essere terrorizzato, lo sentivo caldo, morbido e assolutamente indifeso. Era caduto da un nido che la mamma aveva costruito molto vicino. Forse non era caduto perché un po’ riusciva a volare, anche se non riusciva ad alzarsi che un metro da terra e a percorrerne cinque o sei. Dopo alcuni tentativi falliti mi resi conto che non sarebbe mai riuscito ad andarsene come e dove avrebbe dovuto e quindi affrontai mio nonno: “Lo posso portare a casa?” “Morirà comunque” “Dai fammelo portare via” “Gli dovrai dare da mangiare” “Dai nonno, ci penso io” A casa non ebbi problemi, gli davo da mangiare continuamente e di notte lo avevo messo a dormire dentro una scatolina che tenevo nel buco che il mobile lasciava libero immediatamente sopra il guanciale del mio letto. Credo abbia ingollato di tutto. Dalle classiche briciole di pane, alle gocce di latte, dalla pasta al sugo o in brodo, a piccole fettine di cecina. Gli davo tutto e lui buttava giù. Una mattina di alcuni giorni dopo, al mio risveglio, non lo trovai dove avrebbe dovuto essere. Il cinguettio veniva dall’alto. Era appollaiato sulle stecche che componevano il lampadario e mi fissava. Se era arrivato lì voleva dire che aveva volato! Provai a prenderlo ma lui volò e, dopo aver fatto due o tre giri della stanza si posò sul davanzale della finestra. Quasi di corsa costrinsi qualcuno di casa a seguirmi e, finalmente, arrivammo esattamente dove lo avevo trovato. Quando aprii le mani che ancora lo separavano dalla libertà esitò un attimo, mi guardò e se ne andò per sempre. I frati di Piazza San Francesco ci dicevano sempre che si dovevano fare delle buone azioni. Questa mi sembrò ottima.