La mia Terra


Anete aveva 14 anni e suo fratello Bernadino era nato 18 mesi prima di lei. Quella mattina di parecchie centinaia di migliaia di anni fa, come al solito, correvano e giocavano sulla spiaggia di quel tratto mare tanto esteso. Il loro villaggio era poco distante e si trovava nelle vicinanze di un fiume che scendeva dai monti vicini. L’Italia di allora era molto diversa da quella di oggi e l’acqua ricopriva ancora gran parte della zona che poi avrebbe preso il nome di Toscana. La piana di Lucca era ancora tutta sott’acqua, le catene montuose erano già presenti ma le pianure erano tutte in fase di costruzione. I due ragazzi non potevano immaginare che quel fiume, con la sua instancabile opera di erosione, aveva modellato il terreno attraversato, scavandone il letto fino ad abbassarlo anche di 190 metri e arrivando poi a sfociare in mare, nel Golfo di Sesto di Moriano.

Il passare degli anni e dei secoli non influiva sull’età dei due fratelli i quali, come gli "highlander", riuscirono a vivere tutte le trasformazioni che diedero luogo alla nascita del lago di Sesto (chiamato di Bientina dai Fiorentini e Pisani) dove confluiva il ramo principale del fiume chiamato Auser. Un secondo ramo, più piccolo del primo, prese un’altra via e dopo aver contribuito a costruirla, traversò la piana di Lucca. Anete e Bernadino non tardarono ad accorgersi che anche il mare continuava a ritirarsi velocemente (circa cento metri ogni secolo) trasformando il territorio di Massarosa in zona costiera. Il loro piccolo villaggio era situato a Porcari, nell’area di “Fossa nera”, dove poi, migliaia di anni più tardi, gli scavi archeologici porteranno alla luce resti dell’età del bronzo.

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La piana di Lucca in epoca Romana

All’incirca nel 750 a.C., il nuovo villaggio, dove vivevano i due fratelli, venne edificato in una zona molto paludosa. Erano letteralmente circondati dall’acqua la quale, se da una parte dava alla popolazione il necessario per vivere, dall’altra era la causa principale di frequenti e devastanti inondazioni. Il fiume Auser, nella zona di Saltocchio, si divideva in due tronchi. Il primo proseguiva verso Lammari, Capannoni e Tassignano. Subito dopo Lunata si divideva ancora in due rami. Il maggiore continuava fino a divenire l’immissario principale dello scomparso lago di Sesto, mentre il minore, destinato a divenire in futuro un piccolo canale chiamato Ozzeri, proseguiva con una serie di serpentine verso Ovest. Anche il secondo tronco, nella zona di San Pietro a Vico, si divideva nuovamente in due rami. Quello più a Nord, chiamato Auserculus, grosso modo seguiva quello che adesso è il normale corso del fiume mentre l’altro, dopo aver traversato la zona della Santissima Annunziata, piegava verso Ovest tagliando l’attuale città all’altezza di Via Nuova. Ad eccezione del ramo che finiva nel lago di Sesto, i restanti tre rami ritornavano in un unico alveo nella zona di Montuolo ed il corso d’acqua diveniva poi un affluente dell’Arno. Il villaggio fu creato nell’unica parte della piana leggermente sopraelevata rispetto a tutto il terreno circostante. Oltre ai reperti, particolari fotografie satellitari hanno oggi dimostrato che questa sopraelevazione era nella zona di Piazza San Michele. Il nome del nostro fiume deriva proprio dal ramo nord che da Auserculus, divenne Serculus ed infine Serchio. Nel suo cammino l’Auser formava una lama di terra (Lammari), poi creava una grande curva a forma di luna (Lunata). Più avanti diede origine anche ad un ramo molto piccolo (Picciorana) per poi bagnare tre villaggi serviti da tre ponti (San Leonardo in Treponzio)

Sulle origini di Lucca, c’è grande disaccordo: alcuni attribuiscono il primo insediamento ai Liguri, altri sono certi che la nascita debba essere attribuita agli Etruschi ed altri ancora, basandosi sul nome celtico “Luk”, che significa “luogo paludoso”, ritengono che la città sia di origine Celtica. Il popolo con il quale vivevano Anete e Bernadino, al contrario di noi, sapeva perfettamente sia da dove veniva sia come era chiamato il loro villaggio.

Comunque, chiunque fossero, hanno avuto una immensa perseveranza. Non esistendo argini, se non quelli naturali, è chiaro che tutta la zona, oltre che acquitrinosa, era soggetta a frequenti e devastanti inondazioni. Queste ricorrenti calamità naturali non hanno impedito la colonizzazione in quanto, a quei tempi, il bene da cui dipendeva la vita di chiunque era certamente l’acqua, e qui ce ne era in abbondanza. La futura città di Anete e Bernadino deve tutta la sua storia alla loro gente che non si è mai arresa e che, invece di ritirarsi in territori più sicuri, decise che il terreno su cui si trovava, era la loro “terra promessa”. Non è facile immaginare come fosse la vita quotidiana di quei due ragazzi né cercare di capire quali e quanti difficoltà devono essere state vissute da quei popoli i quali, dopo alcuni secoli di permanenza in questi territori, dovevano essere riusciti a creare qualcosa di veramente importante, al punto da generare un interesse nella ingombrante potenza di Roma.

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L'arrivo dei primi Romani

Nel terzo secolo avanti Cristo, Anete e Bernadino stavano portando a casa alcune brocche piene d’acqua quando, ad ovest dell’esteso borgo dove vivevano, a qualche centinaia di metri, apparve ai loro occhi un grande esercito, preceduto da soldati a cavallo che sorreggevano stendardi ed insegne che loro non avevano mai visto. Spaventati corsero subito a casa e, dopo poco, tutti seppero che quelli erano i soldati dell’esercito Romano, guidati dal console Sempronio Longo, che erano stati sconfitti da Annibale e che trovarono un ottimo rifugio in quella piccola città, probabilmente già fortificata e situata in una zona militarmente strategica. Qualche anno più tardi, esattamente nel 218 a.C., la città divenne una colonia Romana ed il Senato inviò duemila veterani che ebbero il compito di trasformare quella piccola cittadina in un grande centro urbano ben fortificato. I due ragazzi, insieme a tutta la popolazione, parteciparono alla grande festa nella quale i Romani assegnarono un nome nuovo al vecchio e popoloso borgo: “Luca” (nome che poteva provenire sia dal precedente “Luk” ma anche dal nome del condottiero Romano che per primo prese possesso della città). L’esperienza, la capacità organizzativa e la potenza economica dei nuovi padroni non tardò a produrre risultati grandiosi. Sotto gli sguardi esterrefatti dei nostri due ragazzi, vennero edificate potenti mura di pietra, con torri di guardia, per uno sviluppo totale di circa 2,7 Km, alte 9 metri e spesse 2,5. La caratteristica pianta a forma quasi quadrata aveva una evidente curvatura nella zona Nord per seguire un ramo del fiume Auser che scorreva nelle immediate vicinanze e che, ancora oggi, è ben visibile nella curvatura esistente in via Antonio Mordini, già Via Nuova.

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Lucca al tempo del Triunvirato

“Luca” venne edificata rispettando le caratteristiche di tutte le città Romane. Due strade ortogonali dividevano il centro abitato in quattro quadranti. Da Ovest ad Est c’era il Decumano (adesso via San Paolino, via Roma e via Santa Croce) e, da Nord a Sud il Cardio (adesso via Fillungo, via Cenami e via San Giovanni) lasciando al centro il “Forum” (Piazza San Michele “in Foro”). Al termine dei lavori, che i Romani chiamavano di “centuriazione”, se Anete e Bernadino avessero potuto sorvolare la nuova città Romana, avrebbero avuto una visione magnifica. La posizione privilegiata la fece rapidamente diventare un importante centro strategico in quanto era attraversata da vie consolari che la mettevano in contatto con il nord, con il mare e con il centro. Per questo motivo i lavori di costruzione ed ampliamento proseguirono incessanti con il grande risultato di venire scelta dall’Imperatore, nell’aprile del 56 a.c. come sede per stipulare la ratifica del primo tiumvirato tra Cesare, Pompeo e Crasso, che vi giunsero accompagnati da una folla di littori e senatori, cosicché per l´occasione, nacquero "tabernae librariae" (librerie-copisterie), "cauponae" (osterie), "argentariae" (cambiavalute).

I due ragazzi trascorsero mesi e mesi assistendo, sempre più curiosi, all’opera di migliaia di operai che, sotto l’attenta guida di ingegneri idraulici romani, effettuarono grandi movimenti di terreno affinché fosse spostato più a nord quel ramo dell’Auser che scorreva troppo vicino alle Mura. Nel terreno recuperato, in occasione della nomina di Lucca a Municipium Romano, venne rapidamente costruito l’Anfiteatro nel quale Anete e Bernadino, accompagnati dai genitori adottivi, più volte assistettero a spettacoli cruenti. Gli edifici di questo genere, per prudenza ed esperienza, i Romani li facevano edificare fuori le mura per tenere lontano dal centro città i problemi legati a frequenti e violenti disordini che avrebbero potuto incidere pesantemente sulla incolumità degli incolpevoli cittadini.

Fino alla fine dell’Impero Romano d’occidente avvenuta nel 476, la città, sfruttando al massimo la sua posizione strategica, si avviò verso un grande sviluppo economico e commerciale. Se è vero che tutte le strade portano a Roma è altrettanto esatto affermare che qualsiasi percorso occidentale, da o verso Nord, doveva passare necessariamente da Lucca. Il seme del commercio lucchese e quindi della sua potenza economica è nato quindi con le vie Consiliari. Anete e Bernadino passavano intere giornate ad osservare i numerosi viandanti che entravano ed uscivano dalla città. Dalla porta orientale, nell’attuale Piazza Santa Maria Bianca, usciva la Cassia per Firenze; da quella settentrionale, all’incrocio tra via Fillungo e via Mordini, usciva la Clodia la quale, attraverso la Garfagnana, raggiungeva Parma; dalla porta occidentale, incrocio tra via San Paolino e via Galli Tassi, usciva la via per Luni raggiungendo poi la via Emilia; in ultimo, dalla porta sud, nella zona di via della Dogana, usciva la strada per Pisa che, con il nome di Aurelia, si dirigeva a Roma.

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Lucca dopo la costruzione dell'Anfiteatro

I Romani colonizzarono anche la “Grande selva” ovvero l’attuale Garfagnana. Le loro strade erano segnate da pietre miliari, una ogni miglio. Ecco quindi Sesto di Moriano al sesto miglio da Lucca, Valdottavo a otto miglia e Decimo a dieci. Molte località presero nome dai condottieri o dai consoli Romani. Solo alcuni esempi: Minucciano - Minucius, Coreglia – Corelius, Mutigliano – Mutilius, Mozzano – Modianus e Sillano – Lucio Silla.

Con grande dispiacere, Anete e Bernadino furono testimoni della caduta dell’Impero romano, e il territorio Italiano, senza più la protezione di un possente esercito, divenne terra di conquista degli Ostrogoti, poi dei Bizantini ed infine dei Longobardi. Questi ultimi prevalsero sugli altri e, in circa due secoli, costituirono un nuovo impero con capitale Pavia, che si espandeva dalla Longobardia nord fino a quella del sud. Nel 570 Lucca, che a differenza delle altre città non aveva subito invasioni distruttive, fu promossa a capitale del Ducato della Tuscia Longobarda. Venne così fondato il Ducato di Lucca, archetipo della moderna Toscana, comprendente anche Firenze, all'epoca una città molto piccola, di nessuna importanza e senza vie di comunicazione.

I Longobardi portarono in Italia un tipo di dominazione ben diversa da quella Romana. La sovranità dipendeva unicamente dalla forza delle armi ed era ispirata alle usanze ancora fortemente "barbariche" che li caratterizzavano. I vincitori si mantenevano separati dai vinti anche negli insediamenti; la città costituiva per i longobardi un luogo fortemente insicuro e preferivano, da perfetti nomadi, risiedere in campagna, in spazi aperti, in accampamenti che venivano chiamati “covi”. Questa economia chiusa impediva scambi commerciali e culturali, togliendo ogni stimolo al progresso. I Longobardi dominarono due secoli ma non lasciarono tracce di nulla di quello che noi chiamiamo progresso, pur insediandosi su un territorio che in quanto a progresso e civiltà era straordinariamente superiore a qualsiasi altro territorio conosciuto.

Anche i Longobardi contrassegnarono parte dei territori conquistati con i nomi dei signori Germanici ai quali erano state affidate le terre. Toringo, Paganico e Vorno sono nati da insediamenti Longobardi. Allo stesso modo, un certo “Cunimundi” si stabilì a Villa Collemandina, “Sicheradi” diede il nome a Montesigradi divenuto poi Monsacrati. Verso la costa fondarono grandi fattorie come quella di “Massa di Cuccoli”, poi Massaciuccoli, e “Massa di Grausi” divenuta Massarosa. Località e villaggi vennero anche identificati con le caratteristiche morfologiche, architettoniche o naturali del terreno circostante. Un grande campo chiamato "Campus Major" diventò Camaiore e la costruzione del castello “Castrum Nuovo” fece poi chiamare la località con il nome di Castelnuovo. Allo stesso modo il "Castellum del Leonis" fornì il nome di Castiglione. In ultimo, anche la presenza di importanti Abbazie diede origine a numerosi agglomerati i cui nomi ricordano ancora queste costruzioni, come Badia Pozzeveri e Badia di Cantignano.

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I Barbari

Numerose schiere di Longobardi, per opera del Vescovo Frediano, si trasformarono in fervidi credenti divenendo essi stessi paladini della diffusione del Cristianesimo. Vennero edificate, dentro e fuori le Mura, almeno 38 chiese tra le quali, San Vincenzo (ribattezzata poi San Frediano), San Pietro e Santa Maria Bianca Forisportam. Ai Longobardi si deve la nascita della Zecca di Lucca, la più antica d’Europa, che dal 650, per oltre 1200 anni, ha avuto l’onere e l’onore di battere moneta. La produzione artigiana divenne talmente accurata che le nostre monete furono accettate come forma di pagamento in tutta Europa. Addirittura sono state ritrovate anche in Palestina, in Turchia ed in tutta l’Asia Minore.

In questo periodo, sia Anete che Bernadino, amavano ascoltare la leggenda del miracolo di San Frediano secondo la quale, da solo, il Santo era riuscito a modificare il corso del fiume che scorreva troppo vicino alla città. In realtà, ma loro non lo seppero mai, avvenne che essendosi alzato il letto dell’Arno a causa del limo trasportato, le acque del Serchio avevano grandi difficoltà ad immettersi nel corso del fiume ricevente e quindi le inondazioni si fecero sempre più intense e devastanti. Qualcuno, forse gli stessi lucchesi in accordo con i pisani, decisero quindi che il fiume andava deviato per far si che, trovando una strada naturale verso il mare, avrebbe certamente contribuito a smaltire nel modo migliore l’enorme quantità di acqua che l’Arno, spesso, rifiutava. Vennero rotti gli argini e il corso prese la via naturale che ancora oggi percorre per sfociare nel mare il quale, in quegli anni, arrivava qualche chilometro dentro la terra ora emersa. Il luogo dove tutto ciò avvenne, ovviamente, prese il nome di Ripafratta. I nomi hanno sempre origini precise e Anete e Bernadino lo sapevano benissimo: le capre fornirono il nome a Sant’Andrea in Caprile, i porci dettero vita a Porcari, le vacche a San Lorenzo a Vaccoli e un folto gruppo di capanne a Capannori. Suggestiva l’etimologia di Nave, causata dalla presenza di un barcone (naviglio) che, proprio nell’epoca Longobarda, in quel punto permetteva l’attraversamento del fiume, molto più ampio di quanto lo sia adesso e ancora sprovvisto di argini e ponti.

Nell’alto medioevo, la Chiesa degli uomini, non certamente quella di Cristo, era totalmente impegnata nell’ascesa al suo potere temporale. Il cattolicesimo, oggettivamente, fu una mostruosa imposizione applicata scientificamente e che faceva presa sull’ignoranza, sulla paura e sulla miseria della gente che aveva bisogno di credere in una giustizia divina, in una vita migliore dopo la morte. Anche i lucchesi riposero la propria fiducia sui Santi, sui Papi, sui Preti, sui Vescovi ed Arcivescovi nell’illusione che quegli uomini, nessuno escluso, fossero diversi dai propri simili. Con poche eccezioni, le vie e le piazze della città, a testimonianza della assoluta devozione verso il soprannaturale, con i loro nomi ricordano a tutti un’epoca di paura divina. Nel più profondo buio culturale, Anete e Bernadino, anch’essi fervidi credenti, verso l'anno 770, ebbero la fortuna di assistere ad uno degli eventi più importanti per la loro città: l’arrivo, da Luni, del crocifisso ligneo noto con il nome di “Volto Santo”.

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L'arrivo del Volto Santo

Il fatto venne legato ad una leggenda che tramandava come fosse stato proprio il Cristo a scegliere Lucca come luogo dove essere esposto ai fedeli. Non solo, la leggenda continua affermando che dalla chiesa di San Frediano, dove era stato inizialmente posizionato, il “Volto Santo” una notte (sembra il 13 settembre) sparì, ed il giorno seguente fu ritrovato su un prato dove poi, ovviamente, venne edificato il Duomo di San Martino. Quei due ragazzi avrebbero difficilmente creduto a chi gli avesse assicurato che, ben più di mille anni dopo quel giorno, una processione, il 13 settembre di ogni anno, sarebbe uscita dalla chiesa dove il Volto Santo “era”, per arrivare dove il Volto Santo “è”.

L’impero Longobardo finì nel 774 con un grosso contributo della Chiesa la quale, sentendosi minacciata da quel popolo, in pochi anni riuscì a convertire i Franchi, un vicino e potente popolo, convincendolo poi ad intervenire. La sconfitta dei duchi di Lucca avvenne per mano di Carlo Magno, Imperatore del Sacro Romano Impero. Questo nuovo impero, che avrebbe dovuto riportare l’unità e la civiltà dell’antica Roma, aveva un carattere nuovo, quello religioso. Purtroppo per Lucca, fu proprio durante il dominio dei Franchi, nel 978, che Firenze divenne la nuova capitale del Marchesato di Toscana, come riconoscimento dell'ascesa militare, economica, culturale e politica della città sull'Arno.

E’ comunque difficile riuscire ad immaginare come doveva essere la città. Per esempio, quando Anete e Bernadino si recavano nell’antico foro romano, cioè nella piazza dove adesso è la Chiesa di San Michele, se arrivavano dall’attuale Via San Paolino, dovevano obbligatoriamente traversare il “ponte del foro”, o meglio una passerella costruita per superare la “Fossa Natali” che era un canale a cielo aperto proveniente da Piazza San Salvatore che proseguiva verso Piazza Grande! Nel medioevo, subito dopo il 1000, le mura romane dovevano essere in pessimo stato, inoltre c’erano quasi più abitazioni fuori che dentro le Mura. Anche per questi motivi i lucchesi decisero di ampliare la vecchia cerchia inglobando tutte le costruzioni esistenti compresa la chiesa di San Frediano, i ruderi dell’anfiteatro romano e Santa Maria Bianca che non fu più “Forisportam”.

Le mura di questa cerchia perdono la forma rigorosamente quadrata per adattarsi alle esigenze dello sviluppo cittadino. Ancora conservate per un lungo tratto sul lato nord e visibile in certi in altri punti della cinta, erano spesse circa 2,45 metri ed alte almeno 10. Furono erette con la tecnica detta “a sacco”, ovvero un nucleo di pietrame e pezzi di scarto annegati nella malta, rivestiti all'esterno da uno strato di blocchi in pietra ben squadrati, ed all'interno da un più economico strato di mattoni. Oltre 20 torrette rompitratta semicircolari, ottenute con la stessa tecnica e quindi perfettamente solidali alle cortine e aperte verso l'interno, caratterizzavano l'aspetto esterno della città,

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L'ampliamento nel Medioevo

Per Anete e Bernadino fu molto interessante assistere alla costruzione di questa seconda cerchia di Mura. I lavori terminarono circa due secoli dopo il loro inizio e le porte di accesso alla città erano impressionanti. La loro grandiosità comunicava all’osservatore la potenza di una città che bramava l’indipendenza assoluta. Fu un periodo fecondo anche per la vita dei nostri due ragazzi. Giravano continuamente la città piena di vita, botteghe e mercati. Si fermavano a guardare lavorare l’oro, l'argento, le pellicce, il cuoio; altre professioni, con un alto numero di aderenti, erano quelle dei medici, dei notai, dei tavernieri, dei macellai (allora chiamati “beccai” e tutte le loro botteghe erano ubicate in un'unica strada che oggi, ovviamente, si chiama via Beccheria), dei pescivendoli e molti altri. La maggior parte della popolazione tuttavia era dedita al mercato della seta ed i tessuti lucchesi si trovano ancora esposti nei musei di tutta l’Europa del Nord.

Un altro evento che contribuì alla nascente grandezza della città, ma anche come nuovo spunto di grande divertimento e passatempo per Anete e Bernadino, fu l’apertura della Via Francigena. La più importante e affollata strada “religiosa” d’Europa. Uno dei due rami iniziava a Canterbury (Inghilterra) e l’altro a Santiago di Compostela (Portogallo) per riunirsi poi in una unica strada che portava a Roma e poi proseguiva per Brindisi dove i pellegrini potevano imbarcarsi per raggiungere Gerusalemme. Risale a quell’epoca la nascita di numerosi “ospitali”, luoghi dove i pellegrini potevano rifocillarsi e trovare rifugio. Ancora oggi, per fare un esempio, sono famosi i Cavalieri del Tau dell’”ospitale” di Altopascio. Erano gli anni delle prime Crociate e quindi, anche come tappa obbligata dalla venerazione al “Volto Santo”, oltre ai pellegrini, moltitudini di piccoli eserciti diretti a Gerusalemme transitavano lungo la via Francigena preceduti dai loro vessilli. Fu, probabilmente, la vista di queste insegne a far nascere nei potenti di Lucca un’idea.

Pochi anni prima che le nuove Mura fossero terminate, nell’anno 1181, i nostri due ragazzi, insieme a tutta la gente di Lucca, si ritrovarono nel mezzo di una grande festa dove a tutti era stato dato un pezzo di stoffa di colore bianco e rosso. Circondati da musici e giocolieri, e agitando continuamente questo simbolo, festeggiarono tutto il giorno la nascita dello stemma della città, uno scudo metà bianco e metà rosso, riconosciuto come uno dei primi in tutta l’Italia. Il colore bianco legava la nostra storia a quella della Chiesa di Roma, mentre il rosso potrebbe derivare dal colore del mantello di San Martino. In quegli anni la Zecca coniò anche il primo sigillo recante un guerriero a cavallo, con l'asta in resta e lo scudo imbracciato dentro il monito altero: “Luca potens sternit sibi que contraria cernit” (La potenza di Lucca abbatterà chi gli sarà contrario).

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Le case-torre nella zona est di piazza San Michele

Anete e Bernadino, insieme alla famiglia adottiva, vivevano nel centro della città in una delle innumerevoli “case torre”, ancora oggi ben visibili quasi ovunque. Non esistevano né permessi di costruzione né distanze da rispettare in quanto vigeva la “Jus aedificandi” (Diritto di costruire). Era sufficiente dimostrare la proprietà del terreno e si poteva costruire qualsiasi cosa, ovviamente appoggiandosi alle costruzioni vicine. La “casa torre” dei nostri due ragazzi non era dissimile dalle altre. Al piano terra, completamente aperto sulla strada, c’era la bottega di ferramenta del padre. Con piccole scale esterne in legno si saliva al primo piano dove erano ricavate un paio di camere. Al secondo una specie di soggiorno, e al terzo piano la cucina la quale, era posizionata così in alto per evitare che i fumi invadessero gli altri ambienti. Spesso, sopra la cucina, veniva ricavata un’altana per far asciugare i panni. Tutti i bisogni ed i rifiuti venivano gettati in strada dalle finestre, con l’unica preoccupazione di non colpire nessuno. Dalle strade non veniva asportato niente e quindi, anche se un edificio cadeva, quello seguente sarebbe sorto sulle macerie esistenti. Questa totale disorganizzazione è la logica spiegazione del motivo per il quale, più si va sotto terra, più si trovano resti antichi. Il piano originale dell’Anfiteatro, solo per fare un esempio, si trova almeno tre metri sotto l’attuale pavimentazione.

Per molti secoli, Lucca e la troppo vicina Pisa, se le dettero di santa ragione. Dalle beffe e da pesanti scherzi iniziali, si passò a tafferugli e scaramucce sempre più cruente, a false rivendicazioni su terreni e castelli, fino a guerre sanguinose con enormi perdite di vite umane dall’una e dall’altra parte. In Piazza San Michele non passava un solo mese senza che un narratore, in piedi sopra un calesse, non radunasse centinaia e centinaia di lucchesi per informarli, con dovizia di particolari più o meno fantasiosi, sulle alterne fortune di quella guerra infinita. I due ragazzi non persero un solo racconto di quelle vicende. Un giorno tornavano a casa contenti della vittoria ed il successivo erano dispiaciuti della sconfitta subita. Cani e gatti. Lucca batteva moneta e i Pisani la falsificarono, allorquando Lucca attaccò Pistoia, i Pisani la difesero, quando i Pisani si scontrarono con Firenze, Lucca ne divenne alleata e quando Lucca scelse l’amicizia del Papa e del potere temporale della Chiesa, loro si allearono con l’Imperatore. La prima grande e storica differenza con tutte le altre città Toscane risale proprio alla scelta dei lucchesi di divenire Guelfi (filo-papale) rispetto ad un territorio circostante ghibellino (filo-imperatore).

Una delle prove più assurde di questa eterna rivalità, avvenne il 6 agosto 1284 nella battaglia navale della Meloria dove la potente Repubblica Marinara di Genova distrusse la flotta Pisana. Sulle galee liguri combatterono molti soldati e marinai lucchesi contribuendo alla disfatta dell’odiato vicino. Nelle Piazze di Lucca, dopo il collasso della Repubblica Marinara di Pisa, si diceva: “Chi vuol vedere Pisa, vada a Genova”. Comunque, dopo secoli di guerre, Anete e Bernadino si chiesero quale città avesse prevalso sull’altra, ma non seppero darsi una risposta.

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L'esercito lucchese contro Pisa

Il 1294 potrebbe essere ricordato come il primo grande crack finanziario della storia. Anete e Bernadino si ritrovarono nel centro della città (nella zona della Loggia dei Mercanti) accanto alla sede della famosa “Compagnia mercantile dei Ricciardi” che comprendeva le più ricche casate cittadine, circondati dalla maggior parte dei rappresentanti delle famiglie degli altri mercanti le cui fortune dipendevano esclusivamente dai rapporti con quella “Compagnia”. La disperazione era tangibile. I due ragazzi chiesero spiegazioni. I mercanti lucchesi, dopo anni di astuti commerci, erano diventati anche banchieri apprezzati in tutta Europa. I clienti più importanti erano i re, in particolar modo i monarchi francesi ed inglesi ai quali, la “Compagnia” aveva concesso colossali prestiti in cambio di "pagherò". Per trovare somme così ingenti, anche Ricciardi & Soci avevano contratto enormi prestiti sia in Italia, che in mezza Europa. Purtroppo scoppiò una guerra tra Francia e Inghilterra ed i creditori, colpiti dalla classica crisi di panico, chiesero subito ai Ricciardi la restituzione dei capitali prestati. A questo punto i Ricciardi chiesero ai loro debitori la restituzione dei denari prestati ma, per paura che quei denari venissero girati al nemico, nessuno dei due grandi debitori restituì quanto richiesto. Uno dei migliori secoli della storia della città terminò con un colossale fallimento economico ed anche politico.

Anete e Bernadino ricordano come i Guelfi lucchesi non si ponevano molti problemi ad esiliare, con la forza, le casate dichiaratamente Ghibelline. Anche la famiglia di Castruccio Castracani degli Antelminelli, allora neppure ventenne, venne scacciata dalla città ed il giovane nobile guerriero divenne un capitano di ventura le cui doti diplomatiche, militari e strategiche vennero rapidamente apprezzate in tutta Europa. Desiderando comunque tornare nella sua “patria” e sapendo di non poterlo fare da ghibellino, architettò l’unico piano che gli avrebbe permesso il rientro. Si accordò con Pisa e, con l’inganno e molti appoggi interni alle Mura, consentì all’esercito mercenario del pisano Uguccione di entrare in Lucca che subì l’occupazione più drammatica e distruttiva della sua storia. Era l’anno domini 1313. Dopo tre anni e cioè troppo tardi, Uguccione si accorse delle vere mire di quel giovane condottiero ghibellino e, seppur per pochi giorni, non ebbe il tempo di farlo uccidere. Castruccio, che era stato imprigionato in attesa dell’esecuzione, a furor di popolo venne acclamato come il salvatore della città, scacciando l’esercito occupante e divenendone il padrone assoluto. Se il fine giustifica i mezzi, quelli usati dal nuovo padrone per rientrare a Lucca, sono stati certamente molto discutibili.

Se Firenze non riuscì mai ad impadronirsi di Lucca lo si deve anche a Castruccio Castracani quando, il 25 settembre 1325 affrontò, nella piana di Altopascio, il potente esercito Fiorentino mandato ad occupare la città di Lucca per troncare la sua nuova scalata all’indipendenza economica e politica. La vittoria fu schiacciante e, Anete e Bernadino, assistettero insieme a tutta la gente di Lucca al rientro trionfante del vincitore. Fu uno spettacolo in perfetto stile romano. Preceduto dai 15.000 prigionieri in catene, Castruccio entrò in città su una carrozza trainata da cavalli bianchi, circondato da una scenografia degna di Giulio Cesare. Anete e Bernadino furono certi di assistere alla incoronazione di un Imperatore.

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Il grande Castruccio Castracani

Dopo pochi anni, insieme a tutta Lucca, i due ragazzi piansero per l’improvvisa e prematura morte del grande Castruccio, Duca di Lucca, Pisa, Pistoia, Luni e Volterra, e da quel momento lo stato lucchese passò sotto il dominio, ora di una, ora di un'altra città, fino a quando l'Imperatore Carlo IV concesse, in cambio di denaro, l'indipendenza alla Repubblica di Lucca. L’8 Aprile 1369 fu un'altra data indimenticabile. Da quell’evento iniziarono, salvo brevissimi periodi, i 430 anni di libertà e autonomia che segnarono profondamente il nostro territorio, le nostre tradizioni ed il nostro modo di essere. La parola "Libertas" apparve sullo stemma bianco-rosso della città. Il "tempo della Libertà", com'è riportato nelle carte pubbliche, riflette il cammino che permise a Lucca di conservare intatta la sua indipendenza economica e politica, al contrario delle odiate città vicine.

Nel corso di tutta la sua storia, la città è riuscita ad evitare, più delle altre, danni e saccheggi sia attraverso le amicizie e la sua grande diplomazia ma, più spesso, “comprando” i propri nemici. Quando un esercito troppo potente si avvicinava minaccioso alle mura, i Signori della città si trovavano ad affrontare il solito dilemma. Cercare di resistere con la possibilità di perdere ogni proprio avere, oppure disfarsi volontariamente di una bella fetta di beni, oro e monete, ma mantenere la pace, l’ordine e lo “status quo”. Se le possibilità di vittoria erano scarse, la decisione consisteva nel parlamentare con il capo di quei nemici, chiunque fossero e da dovunque venissero. Fu così che le casse di Lucca, periodicamente, si svuotavano in maniera drammatica, ma la “Libertas” era troppo importante e doveva essere mantenuta a “qualsiasi prezzo”.

Nel Medioevo continuarono imponenti lavori di ricostruzione tra i quali spiccò un grande rifacimento della parte bassa e seminterrata dell’Anfiteatro, abbandonato a se stesso da secoli, per ricavarci le prigioni cittadine immediatamente ribattezzate “grotte”, nome preso in epoche successive da un famoso negozio della zona. Qualcuno avvertì Anete e Bernadino che stavano per spostare la facciata della chiesa di San Frediano dalla parte opposta a quella dove era stata edificata. Alla loro richiesta del perché di un tale lavoro, gli venne spiegato che, causa la vicinanza delle Mura, la Basilica non poteva essere dotata di una piazza la quale, ribaltando l’accesso, avrebbe trovato una giusta collocazione. I due inseparabili fratelli, assistendo alla costruzione di molte chiese, si accorsero che in tutte le facciate, troppo spesso, la simmetria era stranamente interrotta quasi fosse stato commesso un errore di misurazione. Facendo ricorso a tutto il loro coraggio, chiesero spiegazioni ad un mastro. La risposta fu stupefacente. “Bimbi, quelli che voi chiamate errori di misurazione, altro non sono che la firma dell’autore. Ogni progettista vuole lasciare un segno di asimmetria evidente a testimonianza del suo potere decisionale nella realizzazione di quell’opera”.

Risale al 1376, e alla volontà di un Guinigi, la realizzazione del “Pubblico Condotto” oggi chiamato solo il fosso di Lucca. Con una lunghezza di 13 chilometri, questo canale artificiale, totalmente piastrellato, portava l’acqua dove ce ne era bisogno. Oltre che per le esigenze della popolazione, quell’acqua sostenne le fasi della lavorazione e concia delle pelli e rappresentò l’energia necessaria a muovere le pale dei molti mulini sorti anche nelle immediate vicinanze delle mura. Il “Pubblico Condotto” ha sfruttato parte dei fossati delle mura medievali e terminava in fondo a Corso Garibaldi dove, ancora oggi, esce per confluire nell’Ozzeri.

Le più importanti famiglie cittadine (Guidiccioni, Fatinelli, Bernardini...) iniziarono la costruzione delle loro magnifiche dimore, sia all’interno che all’esterno delle Mura. All’interno esistono ancora strade e piazze che ricordano il nome della famiglia il cui palazzo ne orna ancora un lato. In verità, i lucchesi non hanno mai gradito essere governati a lungo da uno stesso “nome” e si adoperavano affinché succedessero “eventi” o “disgrazie” che consigliavano al potente di turno di cambiare aria o passare la mano. Solo i Guinigi hanno resistito 30 anni terminando la loro parabola con quel Paolo che divenne sposo della giovane Ilaria del Carretto. Ci fu anche una famiglia il cui nome è ancora oggi poco conosciuto, i Falambrina, che però, in un certo senso, in città viene ricordata tutti i giorni. La loro residenza si trovava in una via che prese il nome da un loro feudo in Garfagnana: il castello di Fillongo. Agli inizi del 1400 Lucca, dopo aver superato il secolo peggiore della sua storia, stava ritornando una grande e potente città.

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Il funerale di Ilaria del Carretto

Anete e Bernadino erano affascinati dalle meridiane che scandivano il passare del tempo. Un giorno, parlando del loro funzionamento con alcuni amici, furono avvicinati da un religioso il quale, visto il loro interesse per l’ombra provocata dal percorso del sole nel cielo, li invito a seguirlo. A passi veloci arrivarono davanti la chiesa di Santa Maria Bianca, entrarono e, sempre seguendo il loro nuovo amico, si fermarono a due metri dagli scalini che accedono all’altare. A quel punto, il religioso, fece loro notare come in terra ci fosse una linea, ben marcata, che tagliava in due la chiesa. Anche agli occhi dei due ragazzi apparve chiaro che c’era qualcosa di strano perché, quella grande linea, non era per niente parallela all’altare e non poteva essere certo un errore. Il religioso, a quel punto si posizionò davanti all’altare, si fece il segno della croce, e girò lo sguardo alla sua destra verso l’alto. I ragazzi lo imitarono e videro quel piccolo buco. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno ed un piccolo raggio di sole, entrando da lassù, stampava un cerchietto illuminato a pochi centimetri da quella linea. Bastarono due minuti per vedere come questo “segno” si stesse lentamente spostando verso quella linea sul pavimento e, quando la raggiunse il religioso disse: “Ragazzi miei, a Lucca è mezzogiorno esatto”

Pisa non era più il problema principale dei lucchesi ma, nel 1430, Firenze provò ancora a conquistare la città che mai era riuscita ad avere. Lucca venne assediata e con l’aiuto del Brunelleschi (l’autore della cupola del duomo di Firenze) venne studiato un piano perfetto. Attraverso la costruzione di una serie di chiuse avrebbero deviato il corso del Serchio e allagato la città. Purtroppo per loro, i lucchesi se se accorsero e una notte intervennero provocando una inondazione che invase e devastò l’accampamento fiorentino situato in una depressione. Da quel giorno, anche Firenze, per molti anni, non fu più un problema.

Intorno all’anno 1500, i lucchesi, a grande maggioranza, decisero di ricostruire totalmente le mura a difesa della città. La struttura medievale non garantiva più un accettabile livello difensivo, inoltre, specie nel lato nord ovest, si erano venuti a creare innumerevoli borghi e chiese che dovevano essere protetti (ecco il perché del nome via dei Borghi). Anete e Bernadino, durante la costruzione delle nuove Mura, ebbero modo di soddisfare alcune curiosità. Per esempio, non capivano il motivo per il quale le precedenti mura di pietra spesse oltre 2 metri venivano sostituite da un muro di mattoni appoggiato ad un terrapieno interno. Gli architetti risposero che negli attacchi alle mura delle città, era sempre più utilizzato il cannone la cui potenza riusciva ad abbattere spesse mura di pietra. Con questa nuova soluzione, la palla di ferro avrebbe “rimbalzato” su quella struttura elastica, senza creare alcuna breccia.

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Lucca nel Rinascimento

La loro sorpresa divenne ancora maggiore quando si accorsero della grande quantità di pioppi che vennero piantati sulla sommità di quell’enorme terrapieno rivestito di mattoni. Un capitano dell’esercito lucchese spiegò loro che avevano l’unico scopo di impedire, ai cannoni nemici, la vista dell’interno città mettendo in difficoltà l’eventuale “puntatore” che avrebbe dovuto sparare a caso. Inoltre ci sarebbero state molte probabilità che il proiettile in arrivo sarebbe stato rallentato, se non fermato, proprio dai rami di quegli alberi. Il Capitano, prima di congedarsi, fece notare ai due ragazzi come, fino dal progetto, da ogni baluardo si sarebbe dovuto vedere cosa accadeva nei due accanto. Un'altra finezza.

Qualche giorno dopo, Anete e Bernadino stavano girovagando all’interno del mercato del pesce dove il popolo comprava prevalentemente quello di acqua dolce del Serchio. Era ubicato tra Piazza San Michele e l’attuale Piazza Grande, nella corte che ancora oggi si chiama “Corte del Pesce” e che sbuca dove si trovano i bagni pubblici. Incontrarono nuovamente quel Capitano il quale, avendo voglia di spiegare a quei due ragazzi dagli occhi particolarmente vispi tutte le opere difensive della città, li invitò in una vicina taverna. Vennero così a sapere che la nuova cinta muraria avrebbe avuto solo tre porte e, proprio con una legge ad hoc, nessuna costruzione civile o religiosa sarebbe dovuta esistere in un raggio di oltre 400 metri dalle mura che sarebbe dovuto restare a prato. Questa zona franca, chiamata la tagliata lucchese, (via delle Tagliate) avrebbe obbligato qualsiasi invasore a rimanere allo scoperto e indifeso dai colpi provenienti dall’alto delle Mura. Inoltre, grandiose costruzioni di terra a forma triangolare, chiamati spalti, dislocati tutto intorno alla cerchia muraria, avrebbero costretto l’esercito invasore a dividersi oppure a convergere in un unico posto. Ambedue le possibilità avrebbero facilitato la difesa avvantaggiati anche dal sempre temibile allagamento del fosso che, largo almeno 10 metri, circondava tutta la città. In ultima analisi, la Repubblica di Lucca intraprese tale opera con il fine ultimo di manifestare ricchezza, potenza, adeguamento ai progressi delle tecniche militari e, per difesa dall'eventuale aggressione medicea. Non a caso, sul lato est, non furono aperte porte. I lavori terminarono nel 1645.

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La "Torre di Palazzo" in un dipinto di proprietà della famiglia Mansi

Il Capitano prese per mano Anete e, seguiti da Bernadino, si diressero verso il vicino Palazzo del Governo che si trovava dove adesso è il Palazzo Ducale. Al posto di Piazza Grande esisteva la vecchia chiesa di San Pietro Maggiore, i magazzini del sale, l’archivio e altri edifici, ma loro si diressero verso un’alta torre. Salirono le scale interne di legno ed arrivarono in cima dove, uno per ogni lato, videro soldati che scrutavano attraverso 10 cannocchiali murati direttamente sui merletti. Anete e Bernadino vennero a sapere che, secondo turni precisi, di giorno o di notte, quattro soldati erano sempre presenti in cima a questo osservatorio chiamato “Torre di Palazzo”. I 10 cannocchiali puntavano su una serie di torri di guardia situate nei posti più strategici di tutto il contado. Gli “occhi di Lucca” erano posizionati sui monti pisani, sul Quiesa, a Sesto di Moriano e nella zona di Altopascio. Nel caso che da una di queste torri di osservazione, apparisse anche un minimo pericolo per la Repubblica di Lucca, attraverso segnali di fumo (diurni) o di fuoco (notturni) la notizia arrivava subito alla “Torre di Palazzo” nella quale veniva suonata la campana chiamata la “Ghibellina”. Tutti gli uomini, da 17 a 70 anni, dovevano accorrere nelle zone loro assegnate dove l’esercito provvedeva ad armarli e a posizionarli sul lato delle Mura dal quale si aspettava l’attacco, mentre la cavalleria era comunque già diretta sul luogo segnalato. Come disse il Capitano, era un sistema di difesa perfetto e ammirato in tutta Europa. I lucchesi potevano veramente dormire sonni tranquilli.

Inoltre, a completamento di tutto, al tramonto, le tre porte della città venivano chiuse con un complesso cerimoniale e le rispettive chiavi erano portate a Palazzo per essere custodite dal Gonfaloniere. A questo punto scattava tutto l'apparato difensivo notturno: soldati e ronde sorvegliavano le mura, iniziavano le "chiame", ossia il continuo invio, ogni quarto d'ora, di tocchi di campane fra i baluardi e la torre. I torrigiani si alternavano a controllare con l'aiuto dei traguardi fissi i punti di segnalazione del territorio. All'aurora si levavano rulli di tamburo dalle mura, era la cosiddetta "Diana" che dava la sveglia alla città e l'apertura delle porte era annunciata dal suono della “Ghibellina”, ovvero la campana di Palazzo.

Ma anche la sicurezza del Palazzo e dei Governanti non era stata improvvisata. Dopo aver risolto l’aspetto difensivo proveniente da attacchi dall’esterno, fu affrontato e risolto brillantemente anche l’eventuale pericolo che avrebbe potuto destabilizzare la città dall’interno. Le congiure erano all’ordine del giorno e quindi andavano evitate. Un piccolo esercito, con insegne e divise mai viste in città, fece il suo ingresso da Porta San Pietro e, accompagnato da una folla esultante, si diresse verso il Palazzo del Governo. La Guardia di Palazzo venne affidata, con un regolare contratto, a soldati Svizzeri del Cantone cattolico di Lucerna, il cui Capitano aveva rapporti e prendeva ordini solo dal Gonfaloniere. I loro alloggi furono ricavati nel cortile che ancora oggi si chiama “degli Svizzeri” e, per quanto si sa, fecero sempre il loro dovere. In ultimo, sempre nella ricerca della massima sicurezza, l’ingresso in città da parte dei forestieri poteva avvenire solo da porta San Pietro e dopo aver subito una attenta perquisizione da parte delle sentinelle in quanto, per legge, era assolutamente vietato portare armi in città, pena la morte. Anete e Bernadino si sentirono orgogliosi di appartenere a questa indomabile comunità.

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Lucca nel 1700

I banchieri ed i mercanti lucchesi, attraverso una attività secolare, avevano “colonizzato” mezzo mondo ed erano diventati i principali fornitori delle innumerevoli nuove e vecchie aristocrazie e corti Europee. Lucca era conosciuta ovunque per l’eccezionale finezza dei suoi tessuti ma anche per l’enorme disponibilità economica che aveva dimostrato e continuava a dimostrare di avere. Lentamente, ma inesorabilmente, qualcosa stava però cambiando. I villaggi si erano riuniti a formare grandi comunità, le città si riunivano per creare grandi Ducati e apparvero i primi Regni. In Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna si erano modellate vere e proprie nazioni con una potenza militare fuori dalla portata delle realtà più piccole.

Anete e Bernadino non riuscirono a star dietro a tutti gli eventi che, uno dopo l’altro, si susseguirono in quegli anni. L’Italia era continuamente in fermento: imponenti eserciti stranieri percorrevano tutta la penisola ma, sempre per la nostra disponibilità a pagare per essere lasciati in pace, transitavano ora a nord ora a sud, con i lucchesi che dalla sommità delle loro Mura, assistevano a questi trasferimenti. La quantità di denaro spesa dai lucchesi fu talmente ingente che, ancora oggi, la domanda irrisolta è quella legata a come, il piccolo stato di Lucca, potesse avere tutto quel denaro. A dispetto delle invidiose città Toscane, ormai tutte, da tempo, sotto il dominio assoluto della potenza Medicea di Firenze, Lucca restò ancora per molti anni libera e autonoma. Bisognerebbe chiedersi come abbia fatto a mantenere questa condizione così a lungo. La risposta storica è semplice: la sua autonomia era garantita ad alti livelli che arrivavano fino a coinvolgere i re di Spagna, e quello di Francia. In parole povere era tutta una questione di interesse in quanto, quando i potenti d’Europa avevano bisogno di finanziamenti, i lucchesi risolvevano sempre i loro problemi. Firenze aveva un esercito che sarebbe stato certamente in grado di inglobare nel Granducato di Toscana una piccola “potenza” come Lucca ma, allo stesso modo, la potenza Medicea era poca cosa se paragonata, per esempio, all’esercito Francese. Furono anni vissuti sulla lama di un rasoio.

E poi, nel 1799, arrivò Napoleone. Il suo esercito non ebbe nessuna difficoltà ad impossessarsi della città la quale, come Principato di Lucca, venne da lui regalata alla sorella Elisa. La “Repubblica nana”, come Napoleone definiva il nostro territorio, non ebbe mai grande simpatia verso Elisa, diffidando soprattutto dei suoi sforzi per francesizzare il territorio. Dopo una grande ristrutturazione prese dimora nel Palazzo del Governo, fece abbattere edifici religiosi, abitazioni e la storica Torre di Palazzo per creare la piazza che intitolò al fratello, fece impiantare alberi lungo tutto il perimetro della piazza per impedire la vista di case che non erano di suo gradimento, fece chiudere il fosso che percorreva ancora quella via che sarà poi chiamata Corso Garibaldi e aprì una nuova porta sul lato est alla quale assegnò subito il suo nome. Nel 1814, dopo la caduta di Napoleone, si dice che i Lucchesi "accompagnarono gentilmente Elisa Bonaparte fuori della città".

L’inizio della fine coincise con il congresso di Vienna del 1817, che segnò l'avvio della Restaurazione. Lucca fu trasformata in ducato ed assegnata a Maria Luisa di Borbone la quale restò al suo posto all'insegna del più intransigente assolutismo. Nell'ottobre del 1847 il ducato di Lucca fu ceduto al Granducato di Toscana e 12 anni dopo entrò, con quest'ultimo, a far parte del Regno d'Italia. Finiva così la secolare e proverbiale autonomia dello Stato di Lucca. I lucchesi comunque dissero: “Meglio Italiani che Toscani”. Ci sentivamo diversi e forse lo siamo davvero.

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La scritta nel cortile della scuola elementare "G. Pascoli"

Anete e Bernadino, proprio quel giorno, decisero di andare a trovare una Suora, loro amica, che li aspettava nel convento a lato della Chiesa di Santa Maria Bianca. Si erano appena incontrati quando una luce proveniente dal cielo inondò tutto il chiostro. I due ragazzi vennero avvolti da una luminosità azzurra. I loro occhi si rivolsero verso l’alto a cercare quella fonte splendente. Mentre l’intensità iniziò a diminuire, Anete prese per mano Bernadino, sorrisero alla Suora e sparirono nel nulla insieme a quella luce. La Madre superiore di quel convento, avendo assistito anche lei a quell’evento, fece incidere i nomi dei ragazzi nel punto esatto dove avvenne quel miracolo. Ancora oggi, all'interno del chiostro della scuola elementare G. Pascoli, è possibile leggere i loro due nomi sulla parete confinante con la Chiesa.